Questo articolo è dedicato a Goliarda Sapienza, una donna incredibile, colta, sensibile ed estremamente moderna. Attrice e poi scrittrice, è stata una delle protagoniste della battaglia contro il maschilismo imperante nel mondo italiano d’inizio secolo scorso.
Dott.ssa Giorgia Aloisio, Psicologa e psicoterapeuta, Roma
Si chiamava Goliarda, nome ereditato da un fratellastro, Goliardo, morto affogato molti anni prima, ed era nata il 10 maggio del ‘24 a Catania, nel quartiere “San Berillo”. I suoi genitori erano due vedovi ultraquarantenni: il papà, avvocato, aveva avuto tre figli dal precedente matrimonio, la mamma, sindacalista, ne aveva già sette. Il più vicino (per età) dei fratelli aveva ben 16 anni più di lei. Quando nacque Goliarda, sua madre aveva 48 anni. Praticamente non frequentò mai la scuola, per volere dei genitori: fu piuttosto educata dai familiari e, in particolare, da alcuni dei suoi fratelli: negli anni, si trasformò in una donna di grande cultura e sensibilità. Da queste scarne informazioni, già possiamo intravvedere la modernità della donna, dell’attrice, della scrittrice che fu Goliarda Sapienza.
La passione politica ha da sempre animato la vita della sua famiglia d’origine e fa parte anche di molte pagine dei suoi romanzi: una passione, la sua, autenticamente libera e non soggiogata da alcuna linea politica canonica, troppo limitante per un carattere ribelle e critico come il suo.
Mi sono ritrovata tra le mani, quasi per caso, L’arte della gioia, un suo romanzo di poco più di cinquecento pagine, avanguardistico, scandaloso, monumentale, edito da Einaudi, paragonato da alcuni critici ad un altro celeberrimo, sempre siciliano, Il Gattopardo. Più volte, mentre lo stavo leggendo, invece, per il susseguirsi di storie e generazioni, ho ripensato ad un altro imponente romanzo, stavolta non italiano, Cent'anni di solitudine.
L'arte della gioia ha raccolto consensi e ottenuto successi solo nel 1998, quando la sua autrice era già scomparsa. Goliarda Sapienza aveva iniziato a scriverlo addirittura più di trent’anni prima, nel 1967 e, dopo circa vent’anni e alcune pause, lo aveva finalmente portato a compimento. In Italia, purtroppo, questo romanzo non aveva riscontrato il plauso della critica, quanto meno all’inizio; alcuni lo avevano bollato come “un cumulo di iniquità” e il rifiuto da parte degli specialisti l’aveva condotta ad accantonare questo progetto letterario. Il libro rimase per lo più sconosciuto nel nostro paese; l’autrice morì nel 1996 ma nel 2003, grazie ad un programma televisivo a lei dedicato e alla complicità del suo ultimo partner, Angelo Pellegrino, fu ripescato, ristampato in Italia in modo più “sostanzioso” (senza tagli) e trovò finalmente un pubblico caloroso e ricettivo. Negli anni precedenti, comunque, L’arte della gioia aveva già raccolto numerosi consensi all'estero, in Francia, in Germania e in Spagna.
Quando mi sono accorta di essere “incappata” in quest’artista così originale e trasgressiva, dal pensiero multiforme e stimolante, mi sono posta alcuni quesiti, primo fra tutti: come mai non ho mai sentito il suo nome, prima d’ora? O anche come mai questo nome sembra così poco noto ai tanti accaniti lettori che frequento? Quale destino è toccato a questa donna speciale, così sensibile, tormentata, ricca, dalle mille fascinose contraddizioni?
Durante la lettura o anche ascoltando alcune sue interviste, sono stata investita da una tale forza rivoluzionaria, ho percepito le sue intense, continue prove di coraggio, e poi quella sua scomoda sincerità … Ho subito immaginato salde assonanze tra Goliarda (l’autrice) e Modesta (il personaggio del romanzo). Mi sono follemente innamorata di lei, di entrambe, della loro irriverente, potentissima sfacciataggine, dell’appassionata battaglia contro il maschilismo imperante nel mondo italiano d’inizio secolo scorso, della sfrontata ricerca del piacere declinato al femminile (finalmente!), dell’amore, della gioia, appunto, quella del titolo del romanzo, dimensioni che troppo spesso sfuggono alle nostre frenetiche esistenze, anche alla più semplice riflessione. Goliarda e Modesta hanno combattuto e vinto l’ignoranza, la povertà, la solitudine, la sottocultura, i pregiudizi, e sono arrivate … oltre: entrambe sono finite in galera per desiderio di conoscenza e di sperimentazione, per incrociare destini, creatività, “storie di vita” pasoliniane (tra i suoi romanzi c'è anche L'università di Rebibbia, nel quale racconta i mesi trascorsi in carcere). Goliarda Sapienza ha anche attraversato il mondo del turbamento psichico e, oltre alla galera, ha conosciuto gli ospedali psichiatrici. Facendo proprio un antico motto, in linea con la sua vita, sosteneva che il proprio paese lo si conosce davvero solo quando si sono conosciuti le sue carceri, gli ospedali e il manicomio. Durante un’intervista di Enzo Biagi, parlando della sua esperienza a Rebibbia, ebbe il coraggio di sostenere che in prigione aveva fatto benissimo ad andarci, perché, come riecheggia dal titolo del suo romanzo, fu proprio lì che ebbe l’occasione di imparare le lezioni più rilevanti per la sua vita di donna e di mente pensante; addirittura ipotizza che altri sei mesi sarebbero stati ancor più fruttuosi, quasi come se si trattasse di una terapia, più che un luogo di penitenza e cattività.
Goliarda e Sapienza sono donne capaci di amare incondizionatamente e senza remore, senza filtri, senza imposizioni e quindi i loro amori possono essere maltrattati da parole quali perversione, incesto, bisessualità, pansessualismo, scandalo; parole che ricorrevano ieri ma che potrebbero ripresentarsi anche oggi, nonostante i tempi siano - in apparenza – tanto cambiati.
Goliarda Sapienza è stata prima di tutto un’attrice (teatrale e cinematografica): il padre, che aveva colto la sua vena istrionica, la fece iscrivere, appena adolescente, all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, luogo nel quale poi ella stessa si ritrovò, anni dopo, ad insegnare. Goliarda si specializzò nell’arte teatrale e interpretò con passione e grande perizia alcuni ruoli femminili delle opere del conterraneo Luigi Pirandello; ebbe, inoltre, una piccola parte nel celebre Senso di Luchino Visconti. La sua vita complessa, ricca di stimoli ma anche di conflitti familiari, condita di amori maschili, femminili, di lunghi anni di solitudine sentimentale, tentativi di suicidio e ricoveri psichiatrici presso il Policlinico Umberto I di Roma, ha richiesto approfondimenti psicoanalitici, percorsi dei quali Goliarda non solo non fa mistero ma che annovera tra gli elementi che le hanno maggiormente permesso di conoscersi e realizzarsi in modo autentico. Il suo secondo romanzo, Il filo di mezzogiorno (1969), è un puntuale resoconto della sua psicoterapia psicoanalitica effettuata con uno specialista della sua terra trapiantato a Roma, contrario alla pratica dell’elettrochoc, molto in voga all’epoca, praticato in passato anche sulla sua paziente.
Iniziò l’attività di scrittrice quasi non volendolo: accadde in un momento di grande disperazione, quando perse sua madre, un lutto che Goliarda Sapienza ha sempre definito come estremamente faticoso da elaborare. A quarant’anni, dopo aver sperimentato la poesia, approdò alla narrativa, anche grazie all’influenza del compagno di allora, Citto Maselli, regista e documentarista. Oltre alle opere già menzionate, anche un altro romanzo dal titolo enigmatico, intrigante, spiazzante: Le certezze del dubbio (1987).
Su Youtube, attraverso alcuni diversi documentari e varie interviste a lei dedicate, è possibile “conoscere” questa incredibile donna, … alcuni link ve li suggerisco io! Prima di ascoltarli, preparatevi una comoda e soffice poltrona: e liberate la mente, se potete. Almeno provateci: tentar non nuoce, si dice.
Intervista Goliarda Sapienza - Rai Storia
Goliarda Sapienza intervistata da Enzo Biagi