Il bullo non deve essere solo visto come un mostro, ma come figlio di un disagio ...
Dott.ssa Silvia Ferretti
Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso. (Eleanor Roosevelt)
Il bullismo è senza dubbio un fenomeno attuale che ha forte impatto emotivo sulla società odierna. Se ne parla moltissimo e soprattutto è un fenomeno che sembra essere in forte crescita. Si dice che il bullismo sia sempre esistito, che tra bambini e ragazzi sia sempre stata presente un quota di cattiveria. Ciò è vero in parte, ma a mio avviso non si può non osservare ultimamente una sorta di inasprimento di queste cattiverie tra ragazzi, e che il bullismo sta dilagando in maniera subdola e sinceramente preoccupante anche tra i più piccoli e insospettabili. Su ciò che sta dietro l’aumento di questo fenomeno è necessario interrogarsi, e sono possibili alcune osservazioni.
Origine e definizione del bullismo
Gli studi psicologici sul bullismo (che è la traduzione del termine inglese bullying), hanno avuto origine nei paesi scandinavi con lo psicologo Dan Olwens che per primo ha osservato e rilevato episodi di prevaricazione all’interno delle scuole. In Italia le prime ricerche sul fenomeno risalgono alla metà degli anni Novanta con Ada Fonzi (1995) ed alcuni collaboratori che adattarono alla realtà italiana un questionario anonimo ideato da Olwens nel 1991, traducendo il termine bullying con “prepotenza”.
Ultimamente si è concordi nell’affermare che il bullismo è una problematica persistente che sta incrementando ed è stato riscontrato in ambienti sociali e culturali differenti: inoltre, riguarda entrambi i generi maschile e femminile. Le agenzie educative stanno cercando di arginare il problema mettendo in atto alcune strategie, citiamo come esempio la direttiva ministeriale n°16 del 5 febbraio 2007 dell’allora Ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, che mira alla prevenzione del bullismo nelle scuole, facendo leva su un forte sostegno da parte di docenti e familiari.
La scuola rimane il luogo in cui il bullismo trova purtroppo ampio spazio, lontano dagli occhi degli adulti che troppo spesso non si accorgono o sottovalutano campanelli di allarme, e si esplicita attraverso diverse forme di aggressività in cui sono coinvolti bulli, vittime e spettatori troppe volte silenti.
Negli ultimi tempi, in seguito alla diffusione di strumenti interattivi del web a cui accedono ragazzi e spesso bambini poco controllati, si è sviluppata una forma di bullismo chiamato cyberbullying o bullismo elettronico (Smith, 2008).
Le ricerche effettuate negli ultimi tempi hanno utilizzato il questionario di Olwens e hanno rilevato che il fenomeno del bullismo è subdolo e più diffuso di quanto possiamo immaginare. Credo che questi dati debbano almeno stimolare una riflessione sul fatto che forse si dovrebbe pensare a qualche misura precauzionale al fine di affrontare il problema tempestivamente e, chissà, fornire al bullo la possibilità di cambiare.
Bullo e bulla: belli che non ballano
Nel nostro immaginario il bullo è un soggetto più o meno in età adolescenziale, di sesso maschile e sicuro di sé. Ebbene, attualmente è ormai chiaro che non è così: il bullismo non ha sesso né età e ha assunto svariate forme che vanno da azioni fisiche alle più subdole torture psicologiche. Questa sicurezza del bullo, inoltre, è in realtà solo una maschera ostentata: senza dubbio ha forte potere psicologico sui coetanei, ma in realtà è assolutamente incapace di instaurare relazioni autentiche. Con la sua violenza, il bullo ha bisogno di segnalare la sua esistenza e la sua identità, dietro la sua arroganza e apparente sicurezza si celano profondi problemi relazionali. Chi è, dunque, questo bullo?
Egli non è un vero leader, segue solo la legge del più forte, per giunta con codardia, in quanto attacca i soggetti più deboli e trova adepti tra coetanei che, per paura di essere rifiutati, tacciono di fronte alle violenze.
Le prepotenze del bullo, come si accennava sopra, vanno da violenze fisiche come spintoni, pugni, schiaffi, ad offese di tipo morale e psicologico quali ricatti, minacce, insulti, calunnie; il bullo resta insoddisfatto finché non mette sotto scacco la sua preda, annullandone la capacità di reazione e l’autostima.
Secondo Maria Calabretta che nel 2009 ha scritto un interessante testo sul bullismo, possiamo distinguere tre tipologie di bulli: aggressivo, ansioso e passivo. Il primo è apparentemente forte e sicuro di sé, molto popolare e pieno di amici. Il bullo ansioso potrebbe essere contemporaneamente bullo e vittima e ha un personalità fragile. Il bullo passivo è colui che si aggrega al branco e pur di far parte del gruppo accetta di compiere azioni ingiuste.
La violenza delle bulle è molto più insidiosa e sottile, meno visibile agli occhi dell’adulto che spesso percepisce queste ragazze come insospettabili. La bulla agisce la maggior parte delle volte per mezzo di violenze psicologiche, generalmente tende a circondarsi di coetanee alleate con le quali deride la vittima, la isola calunniandola e mettendo in giro notizie false sul suo conto, anche sul web. Queste ragazze sono arroganti e vendicative, prive di senso di colpa, mirano a conquistare l’attenzione delle coetanee ferendo con le parole la vittima designata.
I bersagli dei bulli
Non esiste una regola con la quale vengono scelte le vittime, anche se sicuramente finiscono per essere bullizzati alcuni soggetti e non altri a causa dell’aspetto fisico (ad esempio perché sono bassi, in sovrappeso, troppo magri, portano l’apparecchio ai denti, gli occhiali, ecc…), o per qualche caratteristica comportamentale (per esempio perché molto diligenti o molto bravi a scuola, oppure sono stranieri o disabili, ecc…). Si può dire, generalizzando, che le vittime sono persone fragili, ansiose, insicure e rischiano di rinforzare tali atteggiamenti fino a formarsi un’immagine negativa di se stessi. La vittima, infatti, di fronte alle angherie non reagisce, ma al contrario rimane in silenzio con i suoi sensi di colpa che ledono profondamente la sua autostima, la ferisce, precipitando in una sofferenza difficile da stanare se non si trova la forza di raccontare il dramma.
La scuola, dove spesso si consumano questi tristi avvenimenti, finisce per diventare un luogo di paura, di ansia, e la vittima manifesterà alcuni tipici atteggiamenti come isolamento, calo nel rendimento scolastico, cambi di umore, malesseri fisici, tutti segnali che spesso non vengono presi in considerazione e che portano la vittima a rimanere chiusa nella sua solitudine.
Il gruppo dei pari: spettatori silenziosi
Se pensiamo che il bullismo sia il risultato di una relazione disfunzionale tra il bullo e la sua vittima compiamo un errore, o comunque una dimenticanza perché alla diade dobbiamo sostituire un triangolo formato da bullo, vittima e spettatori.
Il gruppo dei pari che assiste ai soprusi purtroppo rimane in silenzio, non denuncia le cattiverie alle quali assiste, si pone complice oppure come un gruppo omertoso che osserva e tace per paura di ritorsioni. Alcuni compagni incitano attivamente il bullo, pensiamo anche solo alle risatine che suscitano le prese in giro o agli scherni che arrivano come stilettate alla vittima. Questi “supporter” con il loro atteggiamento nutrono il bullo fornendogli feedback positivi agendo con quelle che Bandura (1986) chiama “strategie di disimpegno morale per sentirsi meno responsabili”.
Ma anche chi non partecipa o non ride può ugualmente incoraggiare il bullo con il silenzio che diventa silenzio/assenso e legittima le prevaricazioni. Chi tace ha paura, è intimorito, teme ritorsioni e non ha la forza di denunciare, o alle volte si difende identificandosi con il bullo illudendosi di essere forte.
Bullismo e contesto sociale attuale: alcune riflessioni
Come detto precedentemente, non si può ignorare che il fenomeno del bullismo si diffonde sempre più e desta preoccupazione. Se in passato ci si preoccupava, però, di fenomeni di prepotenza tra adolescenti e preadolescenti, oggi, a mio avviso, è necessario “alzare le antenne” anche nelle classi dei più piccoli dove alcune forme di prevaricazione sono già presenti.
Non esiste un’unica spiegazione sul fatto che il bullismo sia oggi tanto diffuso, vero è che tale fenomeno rappresenta senza dubbio la spia di un malessere profondo della società odierna.
Alcune ricerche condotte da Fonzi (1999), hanno evidenziato che il comportamento dei figli è fortemente influenzato dal contesto sociale e dallo stile educativo genitoriale. Ma chi sono i genitori attuali?
Senza “fare di tutta l’erba un fascio”, c’è da dire che purtroppo mi sembra di notare genitori troppo permissivi e arrendevoli con i propri figli, fin da piccolini, attorno a noi, abbiamo bambini riempiti di stimoli materiali, bombardati da mille attività mirate ad impegnare la loro giornata. Le attività per i bambini sono assolutamente importanti, ma lo spazio e il tempo per una relazione ed un sano confronto con i genitori? Noto che questi ultimi hanno sempre meno voglia di un confronto con i loro figli, tendono a “scaricarli”, un po’ per impegni lavorativi, ma anche per praticità. I bambini vengono accontentati troppo spesso, e da adolescenti diventano ragazzi incapaci di gestire un conflitto sano, al punto che tenderanno a prendere le distanze dai familiari privilegiando le amicizie spesso dannose. Del resto non c’è da stupirsi: un ragazzo senza punti di riferimento sarà disorientato e più facilitato a mettere in atto comportamenti aggressivi con coetanei con cui “fare branco” per trovare sicurezza e accettazione.
Il bambino successivamente ragazzo, al contrario di ciò che potremmo immaginarci, chiede empatia ma chiede anche di essere arginato, frenato con sicurezza e autorevolezza. Il “no” da parte di un genitore è assolutamente sano, aiuta il figlio ad acquisire il senso del limite. Ma come sostiene Recalcati (2015), per la famiglia è difficile dire no e far vivere l’esperienza del limite quando attorno a noi ci sono solo sì e tutto si consuma tanto velocemente. La maggior parte dei genitori odierni sono spesso inesistenti o comunque inconsistenti, mancano di dialogo, non forniscono al figlio una guida morale al punto che quest’ultimo deve in qualche modo rendersi autonomo e lo fa tramite il gruppo dei pari per sentirsi sicuro e accettato. Ancora Recalcati (2013), definisce un “buon genitore” colui che è capace di oscillare tra presenza e assenza, dunque esserci per il figlio, fornirgli un valido supporto per un ascolto empatico assieme a una disciplina che dia certezza e stabilità, e allo stesso tempo anche “saper chiudere gli occhi”, come sosteneva Freud.
Accanto alla famiglia vi è anche la scuola, altra istituzione probabilmente in crisi, o che comunque ultimamente fa fatica a tenere a bada il conflitto tra pari. È vero che la scuola ha il compito di diffondere la cultura, ma non può essere sufficiente.
Certo, dall’esterno è facile parlare. Mi rendo conto di quanto possa essere complicato per un docente trovarsi di fronte ai comportamenti insolenti di bulli e bulle, quanto possa essere di disturbo per l’andamento scolastico, quanto possa essere difficile essere lucidi per captare i primi segnali di allarme e difendere le vittime.
In tutto questo marasma però, non penso serva a molto gettare la spugna. A mio avviso, si dovrebbe smettere di cercare colpe nella famiglia, nella scuola, nella TV, in internet ecc… e scaricare all’una o all’altra la responsabilità. Come sostiene Maria Calabretta, siamo tutti responsabili del bullismo. Non esiste un antidoto contro il bullo ed è difficile cercare soluzioni dall’oggi al domani che sradichino completamente il problema. Come sostiene sempre l’autrice, è possibile auspicare coinvolgimento e collaborazione del mondo adulto, scuola e famiglia dovrebbero cooperare anziché accusarsi a vicenda. Gli adulti dovrebbero sintonizzarsi emotivamente con il ragazzo, porre attenzione ai segnali che lancia, difendendo la vittima dai soprusi del bullo. Il bullo stesso non dovrebbe essere solo visto come un mostro, ma come figlio di un disagio.
Forse, e sottolineo, forse, una strada da percorrere potrebbe essere quella di cambiare la comunicazione tra adulto e bambino/ragazzo in famiglia prima e nella scuola e in altre istituzioni dopo, proponendo l’ascolto, il rispetto, o anche il sano scontro senza però calpestare l’altro, sensibilizzando i giovani sui valori della legalità e della solidarietà contro la legge del più forte.