Parte Seconda
La seconda parte si apre con un breve excursus storico del Disturbo da Stress Post-Traumatico, successivamente, l'articolo va ad approfondire quali sono i sintomi del PTSD e quali gli interventi per il trattamento del disturbo, anche alla luce dell'emergenza sanitaria legata al Coronovirus.
Disturbo da Stress Post-Traumatico: breve excursus storico
Le prime osservazioni cliniche delle sindromi traumatiche conseguenti all'esposizione ad intensi eventi bellici risalgono alla guerra di secessione americana e alla guerra russo-giapponese anche se per uno studio più strutturato bisogna attendere la prima guerra mondiale. Le sindromi traumatiche di allora erano definite “nevrosi da guerra”.
Successivamente gli psichiatri militari, tra due grandi nomi come W. Bion e S.H. Foulkes, hanno ripreso i lavori fatti dai loro colleghi durante la seconda guerra mondiale, durante la guerra di Corea ed in particolare durante la guerra del Vietnam, per sviluppare trattamenti specifici per le sindromi traumatiche nel personale militare. I risultati dei nuovi studi furono portati all'attenzione dell'opinione pubblica e alla fine degli anni Settanta le sindromi traumatiche furono formalmente inserite nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali), la principale classificazione nosografica internazionale in ambito psichiatrico.
In questo modo i veterani poterono finalmente ottenere il riconoscimento ed il rimborso delle terapie psichiatriche relative ai traumi da guerra.
Nel 1980 il DSM-III ha ripreso la più antica definizione di Gross Stress Reaction che era presente nella prima versione del manuale e trasformandola in Post-Traumatic Stress Disorder; diagnosi che ritroviamo tutt’oggi nel DSM 5.
Il Disturbo da Stress Post-Traumatico nel DSM 5
Secondo la quinta edizione del DSM-5, per fare diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico è necessario valutare la presenza di diversi criteri.
- Criterio A analizza l’esposizione dell’individuo ad un determinato evento traumatico (la morte di un proprio caro, il proprio ricovero – testimonianze di persone dimesse – perdita del lavoro e/o rotture familiari conseguenti al covid, violenza subita durante il lockdown)
- Criterio B invece esamina i sintomi di risperimentazione, cioè le modalità con cui la persona si trova a rivivere il momento del trauma, ad esempio se questo avviene attraverso i ricordi ricorrenti, i flashback (con conseguente allontanamento dalla realtà circostante) o attraverso gli incubi (difficoltà ad addormentarsi, dormire, riposare). Può dunque esserci intensa o prolungata sofferenza psicologica e reattività fisiologica in risposta a trigger che simboleggiano o assomigliano al trauma.
- Criterio C ha a che fare con l’evitamento persistente degli stimoli associati all’evento traumatico. Nel tentativo di evitare la risperimentazione del trauma, la vittima può cominciare a evitare situazioniesterne (attività, conversazioni, persone, ecc.) che ricordano, simboleggiano o sono in qualche modo associati all’evento traumatico. Con il tempo, questa strategia di coping diventa sempre più problematica, poiché la persona può finire per ritirarsi dalle interazioni sociali, smettere di frequentare i luoghi abituali, o cambiare significativamente le proprie abitudini per non incorrere in dettagli che possano scatenare sintomi disturbanti. L’evitamento può riguardare anche l’esperienza interna della persona: in maniera più o meno consapevole, la persona può adottare una serie di comportamenti (per esempio fare uso di alcool e droghe, gettarsi a capofitto nel lavoro, adottare comportamenti sessuali compulsivi e a rischio, giocare ad azzardo, infliggersi dolore fisico mediante atti di autolesionismo) finalizzati a sopprimere ricordi spiacevoli o emozioni troppo intense e negative. La strategia dell’evitamento può essere funzionale nel breve termine, ma nel lungo tempo può ostacolare l’elaborazione delle esperienze traumatiche.
- Criterio D riguarda i sintomi di alterazione negativa dei pensieri e delle emozioni, nel senso che l’evento traumatico viene vissuto da molte vittime come uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, tra la “salute” e la “malattia”. La persona può sviluppare convinzioni o aspettative negative su se stessa (ad esempio forti sensi di colpa per quanto accaduto) su gli altri (un senso di sfiducia collettiva “non ci si può fidare di nessuno” – parenti, amici, sanitari) o il mondo (“il mondo è un posto pericoloso”, “non c’è speranza per il futuro”). Emozioni negative comunemente esperite includono colpa, vergogna, rabbia, paura e umore depresso. Per proteggersi dal dolore psicologico, la persona può cercare di distaccarsi dalle proprie emozioni, e può quindi risultare insensibile, disinteressata o estraniata rispetto agli altri, anche quando si tratta di persone care o di attività che precedentemente le procuravano gioia.
- Criterio E ha a che fare con i sintomi di iperattivazione, nel senso che il paziente vive uno stato di attivazione (arousal) costante che non si esaurisce naturalmente. La persona sviluppa una sorta di ipersensibilità ai potenziali segnali di pericolo, che la porta a essere costantemente in allerta e a vivere in uno stato di ipervigilanza e tensione che interferisce con la capacità di calmarsi, di rilassarsi o di addormentarsi.
- Criterio F ha a che fare con la durata di questi sintomi (più di un mese).
- Criterio G questi sintomi devono creare sofferenza e interferire con il funzionamento della persona in aree importanti della propria vita
- Criterio H questi sintomi non devono essere attribuibili agli effetti di sostanze stupefacenti o a un’altra condizione medica.
Quali sono i sintomi del Disturbo da Stress Post-Traumatico?
I principali sintomi hanno a che fare con le categorie prima elencate (Intrusione, Evitamento, Effetti negativi sui pensieri e sull’umore, Alterazioni dello stato di allerta-arousal, Interferenza nei diversi ambiti della propria vita, Il persistere dei sintomi oltre un mese).
Nello specifico rispetto all’emergenza Covid-19, in linea di massima, i sintomi avvertiti potrebbero essere ad esempio di evitamento sociale per paura del contagio con difficoltà a frequentare luoghi e persone, fino a condizionare così la propria quotidianità.
Difficoltà del sonno, sia in termini di durata che di qualità: infatti sembra quasi venir meno la proprietà rigenerante del sonno riposante, oltre alla comparsa di incubi ricorrenti. Oltre che negli incubi si tende a rivivere immagini e ricordi terribili inerenti l’esperienza traumatica vissuta anche durante le ore diurne attraverso continui flashback tanto da mostrare anche problemi di concentrazione.
Si potrebbe manifestare una condizione di eccessiva vigilanza con particolare attenzione ai segnali di pericolo. Ci si potrebbe sentire irrequieti, irritabili tanto da essere predisposti a scoppi di rabbia e non riuscire a controllare adeguatamente le proprie reazioni.
Un altro sintomo comune è la depressione, accompagnato da un minore interesse verso le attività svolte in precedenza. Sono molto comuni anche i sensi di colpa, ad esempio la persona può sentirsi in colpa per essere sopravvissuto a differenza di altri e provare anche un relativo sentimento di vergogna. In questi soggetti è più facile la comparsa anche di attacchi di panico, ansia e malumore.
Chiaramente chi dovesse rendersi conto di avere sintomi di questo tipo deve subito chiedere aiuto ad uno specialista psicologo-psicoterapeuta.
Il trattamento del Disturbo da Stress Post-Traumatico Covid correlato.
In generale è sempre auspicabile una forma di trattamento prima che i sintomi degenerino in forme croniche, per questo è fondamentale un intervento tempestivo, intervento che deve chiaramente tener conto delle peculiarità di ogni singolo essere umano e rispettarne le proprie specificità.
È opportuno valutare con lo specialista sia una psicoterapia che un eventuale trattamento di tipo farmacologico.
Rispetto al processo psicoterapico è importante fornire alle persone in trattamento informazioni in merito alle modalità di sviluppo del PTSD, bisogna dunque partire da una fase di educazione e di informazione sulle caratteristiche del disturbo in oggetto. Riuscire a riconoscere i sintomi nelle settimane successive e ad agire rapidamente per gestirli e trattarli è una componente che influenza fortemente il successo del trattamento. Attraverso la psicoterapia il paziente può imparare i metodi di gestione dell’ansia e della depressione e come modificare eventuali comportamenti rischiosi.
La psicoterapia è fondamentale per il trattamento del PTSD. In accordo con lo specialista e in base alle predisposizioni personali, oltre che ai sintomi presenti, il paziente può scegliere se intraprendere una psicoterapia individuale o di gruppo. La lunghezza del trattamento è fortemente variabile e dipende da diversi fattori. Ai fini del successo del trattamento può essere molto utile il coinvolgimento della famiglia del paziente nel suo processo di cura. Molto utili sono anche i follow-up in periodi successivi alla fine del trattamento.
Ci sono inoltre dei comportamenti che possono positivamente influenzare il percorso di psicoterapia. Questi consistono nel concedersi del tempo per metabolizzare l’accaduto; accettare la propria reazione all’evento traumatico; permettersi di prendere contatto con il proprio dolore/sofferenza; non provare vergogna per quanto sperimentato/vissuto; condividere la situazione con chi ha subito un’esperienza simile per favorire un sano confronto/rispecchiamento; riprendere pian piano i normali ritmi di vita e accettare di aver bisogno di chiedere aiuto ad un esperto.