Ciao Laura e benvenuta tra noi. Ci farebbe piacere presentarti ai nostri follower e far conoscere la tua associazione, la Blindsight Project. Come è nata? Di cosa vi occupate, praticamente?
"La Blindsight Project è una ODV, ex Onlus, che ho fondato nel 2006 in seguito alla perdita totale della vista e quella parziale dell’udito, causata da un incidente stradale nel 2002. Mi resi conto che, seppur molto sensibile nei confronti delle disabilità, non conoscevo praticamente nulla di disabilità sensoriali, e non tanto per colpa mia ma per assenza di informazione in merito. Decisi quindi di informare tutti, soprattutto le persone vedenti e udenti, di ciò che significa vivere una disabilità sensoriale, cosa significa girare in strada con un cane guida (ausilio prezioso, all’epoca pressoché sconosciuto), di come si abbattono le barriere sensoriali, le più sconosciute e quasi mai considerate (dallo sviluppo di un sito web o una app, fino alla cultura - libri, film, teatro, ecc.). Sono sempre stata convinta del fatto che una giusta informazione sia il primo passo verso un reale abbattimento di barriere, che nel caso di chi è cieco o sordo, non riguarda certo uno scivolo, ma libri accessibili, sottotitoli e audiodescrizioni in ogni film, spettacolo teatrale ecc. fino alle consuete slide. A marzo 2006 nacque quindi Blindsight Project, senza un euro in cassa ma con tanta determinazione, lanciando quindi da subito la prima campagna nazionale sul cane guida, per informare le persone vedenti su come comportarsi in sua presenza, diffondendo leggi dello Stato che ne tutelano il lavoro e insegnando a tutti che un cane guida rappresenta gli occhi di chi non vede, pertanto va sempre e comunque rispettato. Ma sin dall’inizio furono realizzati anche i primi concerti a cui poterono partecipare anche le persone con disabilità uditive (sordi e ipoudenti), predisponendo casse particolari affinché i suoni arrivassero come forti vibrazioni (il Sensorial Kollapset fu il primo concerto per tutti, persone sorde comprese e fu un successo perché parteciparono circa 3500 persone). Fu creata anche la prima squadra di calcio A5 tutta al femminile e formata da straordinarie ragazze completamente sorde. Insomma, da subito fui convinta che l’inclusione di cui tanto ancora si parla, va intesa come abbattimento di barriere, e soprattutto come annientamento di pregiudizi, che spesso svaniscono se si informa correttamente. Quindi alla domanda “di cosa vi occupate?” posso rispondere: di abbattimento di barriere sensoriali e diffusione della giusta informazione riguardo le disabilità sensoriali, grazie anche all’aiuto di due amiche, Simona Zanella e Ilaria Frenez.
Siamo amanti della psiche umana ma anche … di quella animale! Sappiamo che il rapporto tra persona con disabilità visiva e cane guida è fondamentale e molto peculiare. Ce lo puoi raccontare?
"Pur avendo sempre avuto un cane da quando sono nata, mi sono resa conto della differenza con un cane guida. È stato grazie al mio primo cane guida, scomparso da due anni, che ho imparato a camminare di nuovo dopo la perdita della vista: mi dava sicurezza, oltre a tanto affetto che serve in quei momenti in cui tutti spariscono solo perché si è diventati “diversi”. Ora ho un altro cane guida, ed sempre grazie a lei che posso essere autonoma nella mobilità: il cane capisce se l’umano vede, sente, ha paura, ecc., e si comporta di conseguenza perché la sua massima aspirazione è quella di appagare il suo compagno umano, di renderlo sempre felice e sereno. Si instaura un rapporto speciale tra chi è cieco e il suo cane guida, naturalmente addestrato per le azioni fondamentali (ad esempio attraversare sulle strisce, evitare ostacoli, segnalare gradini, scale o altre condizioni che richiedono una maggiore concentrazione per entrambi, e tanto altro). Si diventa una cosa sola, e il cane sostituisce gli occhi di chi non vede, sicuramente per me e tanti altri molto meglio che girare da soli con un bastone, che per quanto utile, non interagisce e non è un ausilio vivente. Ogni cane ha la sua personalità, spesso dettata dalla razza di appartenenza, ma anche dall’addestramento e dall’educazione ricevuti tra il primo e il secondo anno di età. Sono cani che vengono abituati a stare ovunque, visto che dal 1974 in Italia abbiamo per fortuna la legge n.37 che gli consente l’accesso gratuito in ogni luogo aperto al pubblico. Naturalmente sono molto curati e puliti, e diventano compagni straordinari in ogni occasione, non solo per la mobilità. Ad esempio la mia cagnolina sente quando sono triste o nervosa, e in questi casi dimostra più calma e tolleranza, oltre a farmi più coccole e feste. Non potrei stare senza il mio cane guida, non sono capace a muovermi solo con il bastone, forse perché ho perso la vista a 42 anni, dopo una vita di supervisione. Il cane guida va sempre rispettato, come si rispetta il cane che lavora per le Forze dell’Ordine. Porto un esempio banale: nessuno manderebbe il suo cane vicino a un cane antidroga mentre lavora, o si permetterebbe di avvicinarsi per fargli una carezza, perché capisce che quel cane sta lavorando. Nella gerarchia dei cani da lavoro il cane guida è il più importante, quello che svolge il lavoro più difficile, impegnativo e costante: la mia vita è nelle sue zampe in ogni momento, a differenza di altri cani che lavorano solo per una determinata operazione. Dopo anni di campagna informativa con Blindsight Project è sempre più frequente incontrare persone che sanno che un cane guida non va mai disturbato, perché sarebbe come mettermi le dita negli occhi, ma l’ignoranza è dura a morire e spesso riceviamo segnalazioni a Blindsight Project di episodi discriminatori gravissimi (di recente è stato chiesto a una ragazza cieca di lasciare il cane legato a un palo fuori, prima di entrare in un cinema, oppure vengono ancora fatte molte storie negli hotel o nei ristoranti, episodi che finiscono in tribunale con multe salate e denunce che finiscono anche nel penale per la legge n.67 del 2006, che prevede la tutela delle persone disabili contro ogni tipo di discriminazione). Ci sarebbe da parlare giornate intere sul cane guida, posso però sintetizzare con questo: la mia cagnolina a 60 giorni è stata affiancata al mio cane guida che stava andando in pensione per anzianità, ha imparato quindi tutto grazie all’insegnamento del mio straordinario Artù, che solo quando ha capito che era pronta e che non mi avrebbe mai messa in pericolo, si è lasciato andare (aveva 14 anni). Concludendo: il cane guida è una creatura unica, rispetto anche agli altri cani da compagnia, in quanto consapevole del suo compito e della fragilità della persona che ama incondizionatamente, come solo i cani sanno fare".
Oltre al rapporto con le persone con disabilità visiva, con quali altre persone lavorano i cani da assistenza?
"Il primo cane da lavoro per chi è disabile è stato il cane guida per persone disabili visive (ciechi e ipovedenti), ma sono decenni ormai che nel mondo i cani vengono addestrati anche per altre disabilità, ad esempio per chi è disabile motorio, per chi è sordo, per chi è autistico, per chi ha il diabete, per chi è epilettico, ecc.. Per ogni tipo di disabilità ovviamente il cane viene addestrato a compiere azioni utili alla persona disabile. Ad esempio per chi è in carrozzina il cane impara a raccogliere oggetti, a portarli tra le mani del suo compagno umano, ad aprire le porte o accendere le luci, ecc.. Per chi ha il diabete il cane percepisce dall’odore della pelle se sta per sopraggiungere una crisi ipoglicemica e segnala al suo compagno umano il pericolo. Per chi è autistico il cane si è rivelato miracoloso: persone che non parlavano o evitavano il contatto con chiunque, hanno smesso di farlo. E via dicendo fino ai cani per la pet-therapy. Di recente, a giugno scorso esattamente, Blindsight Project ha organizzato un convegno importantissimo, al quale hanno partecipato professionisti del settore, per chiedere una legge che possa garantire l’accesso gratuito ovunque al cane se accompagna il suo compagno umano con disabilità, così com’è per il cane guida. Speriamo che presto venga regolamentato questo aspetto che ci distingue da tanti altri Paesi europei, dove invece il cane da assistenza è considerato alla stregua del cane guida per legge (nel sito di Blindsight Project ci sono gli atti del convegno trascritti grazie al respeaking, la sottotitolazione in tempo reale per le persone sorde, e ci tengo a dirlo perché, come per noi ciechi, anche i sordi non sono quasi mai considerati nell’abbattimento barriere, in questo caso quelle sensoriali di cui mi occupo da anni)".
Pensi che la Pet therapy abbia un valore? E se sì, in quali casi la ritieni utile? Quali sono le differenze tra Pet therapy e cane da assistenza?
"La pet-therapy è fondamentale e importantissima per tutti, disabili e non, malati e non, anziani e non. Il ruolo del cane, per la sua natura priva di qualsiasi pregiudizio, che invece purtroppo è così frequente tra noi umani, si dedica totalmente alla persona che dimostra di aver bisogno. Molte sono le esperienze positive, quasi miracolose a volte, che negli anni hanno permesso di considerare il cane da pet-therapy fondamentale per ricreare l’animo di chi è anziano, soprattutto nei centri che ospitano persone a volte prive di stimoli. Negli ospedali permettono alle persone malate di avere ore di gioia infinita che altrimenti non avrebbero, soprattutto di considerazione e affetto, spesso totalmente assenti nei nostri ospedali. Ma anche fuori da strutture specializzate, ad esempio per chi ha subito un lutto o altro trauma, il cane da pet-therapy svolge un’azione curativa, per questo dicevo prima che è per tutti. A differenza di un cane guida o un cane da assistenza per disabili, ma anche a differenza di tutti gli altri cani che lavorano, il cane da pet-therapy non ha compiti particolari e quotidiani, bensì sono la sua calma e il suo amore incondizionato che, trasmessi all’umano traumatizzato o semplicemente anziano, annoiato o solo, riesce a donare tanta tranquillità e compagnia. Anche la solitudine o la depressione possono trovare giovamento dalla compagnia di un cane addestrato alla pet-therapy, quindi la differenza più evidente è quella che sta nel fatto che a volte un cane da pet-therapy può addirittura guarire il suo compagno umano, mentre per il cane da assistenza o cane guida si tratta soprattutto di evitargli l’incubo della disabilità. Anche per questi cani ci vorrebbero più menti aperte e meno pregiudizi, ma ci stiamo lavorando, affinché diventi normale avere ad esempio dei compagni favolosi che ti vengono a trovare in ospedale per porgerti una zampa e farti compagnia senza annebbiarti la mentre di chiacchiere".
Cosa pensi della Psicologia e della Psicoterapia? Come potresti definire questo ambito scientifico?
"Rispondo a questa domanda con la mia esperienza personale: in seguito all’incidente e alla perdita totale della vista, ma anche di buona parte dell’udito, dello specchio, della patente di guida, ecc., ero persa e disperata. Sì, il carattere conta, a me è servito essere una donna forte e resistente, priva di pregiudizi e senza paure, ma ho avuto comunque bisogno di essere aiutata per ritrovarmi nella società, soprattutto la nostra italiana così intrisa di pregiudizi e leggende pericolosi. Mi sono ritrovata fisicamente, dopo anni dall’incidente, grazie al cane come dicevo sopra, ma mentalmente non ero più io e dovevo capire come sopravvivere in questa nuova dimensione, che mi ha privata della vista di mio figlio innanzitutto, e tutto il resto. Ero troppo abituata a vivere guardando, osservando e vedendo, per affrontare il trauma da sola. Quindi grazie alla psicoterapia ho avuto la possibilità di analizzarmi in questa nuova vita, ed è grazie alla psicoterapia che ho risolto, almeno in gran parte, il mio disturbo da stress post traumatico. Penso quindi che conoscersi e analizzarsi, con l’aiuto di professionisti della psiche, sia fondamentale per non perdere tempo prezioso, visto che la nostra vita è comunque scandita dal tempo a disposizione, per il quale non abbiamo alcuna certezza. Sono sicura che molte persone confondono la psicoterapia con il giudizio, per questo spesso evitano di farsi aiutare. A me è servita molto, soprattutto per contenere una rabbia infinita che solo chi è madre può comprendere, visto che avevo 42 anni e mio figlio ne aveva solo 17. La rabbia era soprattutto la sua, e da madre l’ho assorbita tutta, affinché diventasse l’uomo stupendo e forte che è oggi, e non un mio personale badante senza vita propria, chiuso tra rabbia e paura per la mia incolumità. Va detto anche però che i professionisti a volte sono inaccessibili per un fattore economico, ma seppur senza soldi se ci sono riuscita io dopo un incidente e il cosiddetto “crollo dell’impero”, come definisco io quel momento della mia vita, possono riuscirci tutti secondo me, basta volerlo e decidere di migliorarsi con l’aiuto di un esperto. Meglio sempre se il servizio è gratuito, almeno in base al reddito, chissà forse un giorno ci si arriverà anche a capire che è importante tanto quanto farsi le analisi del sangue".
Laura Raffaeli ospite di TV2000
Quanto conta la mente nelle nostre vite?
"Sono convinta che la mente, intesa come modo di pensare e vivere la propria vita, sia la chiave per affrontare i problemi al meglio. Una vita senza ostacoli e senza problemi non esiste, sta a noi affrontare e risolvere ciò che ci troviamo davanti, che sia un ostacolo fisico o che sia un ostacolo mentale. Personalmente non ho mai avuto paura di niente, come dicevo questo mi ha aiutata molto nella vita, ma ho incontrato tanti nel mio cammino pieni di timori e paure, che diventano ansie, infine si tramutano in psicosi. Facevo un altro lavoro da vedente, quindi non sono una psicologa, però non ci vuole molto a capire che sono i pregiudizi e le paure degli altri che spesso ci creano gli ostacoli e i problemi più grandi. La mente nella nostra vita dovrebbe essere priva di inquinamenti superficiali, bisognerebbe quindi sempre guardarsi dentro prima di farlo fuori, e per fortuna ero una così altrimenti non sarei sopravvissuta a tanto disastro. È importante considerare anche l’educazione ricevuta: per fortuna ho avuto una famiglia molto aperta e avanti anni luce rispetto ad altri genitori e nonni della mia generazione, che ha saputo far fronte anche alla mia disabilità sopraggiunta, senza pietismi ma aiutandomi a tirar fuori quella parte primordiale di me che mi ha salvata quando mi sono ritrovata al buio e con suoni strani, che altro non è che l’istinto di sopravvivenza gestito però con consapevolezza e maturità. Non ci vuole molto a diventare autonomi nella vita, credo che se la nostra mente lo rifiuta non ci si riuscirà mai: il mio obiettivo è stato da subito ritrovare la mia autonomia, come donna e come essere umano. In parte oggi posso dire di aver vinto, anche se ho perso sulla disabilità che rimarrà per sempre, ho però ritrovato me stessa, e non peso su nessuno, seppure con mille sacrifici. Credo che avere tutto in cambio di niente non sia normale: la nostra vita va conquistata, in qualsiasi circostanza, ed è solo la nostra mente che guida questo percorso vitale. Dico vitale perché senza autonomia di vita ce n’è poca secondo me".
Rispetto alle diverse disabilità (e alle diverse storie di vita) secondo te la psicoterapia può essere un valido supporto per le persone con disabilità visiva? In che misura?
"Come detto già sopra, ritrovarsi al buio e con sonorità sconosciute è un trauma vero, ma sono convinta che la psicoterapia non sia utile solo a chi perde la vista, anzi è forse più utile a chi ci è nato. Perché problemi correlati alla mia disabilità, come del resto per tante altre disabilità, che possono essere la solitudine, l’assenza di una vera e propria vita sociale oppure semplicemente le paure che arrivano se non si vede la realtà che tutti gli altri vedono e vivono, possono essere risolti o quantomeno alleggeriti da uno psicoterapeuta. Sopraggiungono spesso anche problemi legati alla fisicità, soprattutto all’aumento di peso per una scarsa mobilità, e chi meglio di uno psicoterapeuta può sostenere e aiutare in questo campo, che se non considerato può far emergere malattie serie e a volte mortali? La mobilità si riduce se la persona con disabilità visiva non ha un cane guida o un accompagnatore fisso che possa guidarla fuori casa, per questo ho da subito preferito farmi guidare da un cane. Le paranoie poi sono all’ordine del giorno per chi non vede o vede pochissimo (ciechi e ipovedenti): per fortuna abbiamo tutti una nostra particolare personalità, ma spesso il buio comporta dubbi, idem il silenzio o rumorini che dovrebbero essere parlato incomprensibile a chi è ipoudente o sordo. La psicoterapia è un valido supporto sempre quando ci si ritrova in mezzo ad altri che sono diversi da noi, quando ci si rende conto che non sapremo mai se chi ci ha descritto una cosa lo ha fatto in buona fede o ci ha messo del suo, quando il cibo sostituisce un vuoto, quando si vive perennemente in bilico tra la “normalità” raggiunta grazie a un bastone o un cane guida in mezzo a persone vedenti, e la “diversità” che affrontiamo ogni secondo della nostra vita, quotidianamente. Sono solo poche ipotesi che butto qui pur non essendo una professionista della psiche, ma 17 anni di cecità mi hanno insegnato anche a riconoscere i miei simili, e da sempre mi batto affinché non si faccia di tutta l’erba un fascio: essere disabili visivi, o altro tipo di disabilità, non fa di noi le stesse persone. Ognuno di noi ha il suo carattere, la sua forma mentis, il suo vissuto e non si può diventare tutti uguali solo perché ciechi o ipovedenti, errore che viene commesso spesso anche da professionisti. Essere disabili comporta comunque un disagio enorme in una società come la nostra italiana, che fa del pietismo e dell’assistenzialismo la sua lavatrice di coscienza. La persona disabile va sostenuta, possibilmente con una psicoterapia gratuita visto che non tutti hanno i mezzi per pagarsela, va resa autonoma sia mentalmente che fisicamente, va fortificata per poter affrontare l’Italia, una nazione in cui ancora, dopo anni di lotte fatte con Blindsight Project, è fantascienza avere un film accessibile, o una tv o un teatro, o addirittura un sito web o un’app. È ancora troppo dura vivere una disabilità in Italia, per questo ritengo fondamentale un supporto psicologico a chi ci diventa o a chi ci è nato, familiari inclusi. Non credo nel fai da te a livello mentale, almeno quando i problemi sono enormi e non dipendono da noi stessi, e nessuno di noi ha cercato la cecità o l’ipovisione. Ci si ritrova così e bisogna lavorarci molto, purtroppo con pochissimo sostegno istituzionale, oppure ci si nasce e le famiglie sono lasciate altrettanto sole dalle Istituzioni, creando spesso più problemi a un figlio che altro".
Quale era la tua opinione riguardo alla psicologia prima dell'evento che ti ha portato alla tua attuale condizione ? È cambiata dal passato ad oggi?
"Ho sempre ritenuto importante un sostegno psicologico nei casi di necessità, anche prima dell’incidente. Prima cercavo un sostegno per non sbagliare, sia come persona che come madre single, oppure risposte dopo la morte di una persona cara. Oggi se cerco l’aiuto della psicoterapia è soprattutto per non perdermi, per ricordarmi chi ero, per affrontare la mia vita al meglio, senza perdere nemmeno un minuto (preziosissimo per chi è uscita di casa per andare a lavorare un giorno ed è tornata a casa cieca e ipoudente), senza perdere quel tempo che nessuno oggi mi scandisce perché non c’è più luce/veglia e buio/sonno, ma sempre la stessa cosa davanti agli occhi da 17 anni che mi impedisce di avere una giusta temporalità, oltre ad aver perso la spazialità. È importante secondo me mettersi sempre in discussione, senza però perdere l’autostima che a 59 anni compiuti da poco tengo come un bene prezioso, in mezzo a tanta gente sempre pronta ad umiliarmi, anche se spesso lo fa solo per ignoranza. Un esempio: chi chiede alla mia assistente vedente, anziché direttamente a me, se può toccare il mio cane guida mi fa molto male. La paura degli altri mi uccide e lo sforzo maggiore è tener sempre la testa alta in mezzo a tanti finti vedenti che usano gli occhi solo per il display di uno smartphone. Oggi sono cambiata molto nel confrontarmi con gli altri, psicoterapia inclusa, che al momento ho sospeso per assenza di fondi economici e sono contraria al passare da uno psicoterapeuta ad un altro come se niente fosse, visto che quando si fa una seduta ci si apre in maniera totale, e per molti non è facile farlo. Ho imparato questo prima dell’incidente dalla psicoterapia: fidarsi e aprirsi, e per fortuna perché solo così sono riuscita ad imparare a convivere con queste disabilità tremende.
Concludendo: non ho accettato nulla, nonostante gli sforzi della psicoterapia, ho solo imparato a conviverci, con la cecità e l’ipoacusia, non altro, anche se mi rendo conto che è un enorme passo avanti per poter vivere ciò che mi resta senza paranoie, fobie, ansie o paure. Se prima quindi la psicoterapia mi ha aiutata a superare, oggi mi ha aiutata alla convivenza con una dimensione che non mi apparterrà mai, ma che è nella mia vita per sempre. E non mi sembra poco".
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