Le due facce dello stesso problema
L’alimentazione è fondamentale per lo sviluppo della persona e il cibo, con le dovute differenze, rappresenta una costante nell’intero arco della nostra vita ma non bisogna ignorare o sottovalutare le conseguenze di una sua strumentalizzazione.
Se da una parte si continua a registrare la vecchia tendenza di una società che fonda il mito della bellezza sulla magrezza esagerata, dall’altro si osserva un allarmante incremento dell’obesità, in particolare nell'infanzia. Questi due fenomeni estremi sono pericolosi allo stesso modo, ed è pertanto necessario intervenire prima possibile per stabilire un equilibrio: d’altronde, come dicevano gli antichi, “in medio stat virtus”, e questo motto vale anche in questo caso.
L’argomento relativo ai disturbi del comportamento alimentare (DCA) è davvero molto vasto, in queste pagine si tratterà soltanto un aspetto dell’allarmante fenomeno dell’obesità infantile: il rapporto emotivo con il cibo.
Un bambino alle prese con un metro (fonte dell'immagine: qui)
Il cibo come ansiolitico
Il fenomeno dell’obesità infantile è inquietante poiché purtroppo sempre più diffuso nella nostra società, complice anche il maggiore benessere e la maggiore disponibilità di cibo rispetto ad un tempo passato, ma è ancor più preoccupante se consideriamo che questo malsano ricorso al cibo, ed in particolare ad un cibo non sano (patatine, dolciumi, fast food) interessa la quotidianità dei più piccoli.
Junk food - cibo spazzatura (fonte immagine: questa)
È sempre più frequente, infatti, osservare bambini che letteralmente si tuffano nel cibo senza avere ben presente il senso di fame. Sembra mancare un’educazione in merito e anzi, sembrerebbe che i bambini siano abituati a ricorrere al cibo come calmante, come sedativo di un vissuto di nervosismo, di un malessere che si è impossibilitati a definire e ad esprimere diversamente. Questi bambini si avvalgono del cibo per abbassare il livello di stress e per contenere la propria percezione di fastidio, di disagio, proprio come gli adulti ricorrono all’ansiolitico. Sembra che alla base di questi comportamenti sussista una funzione quasi salvifica: “mangio, dunque sono”.
Questo processo è a dir poco allarmante e rischia di determinare le basi per una struttura di personalità non sana e di predisporre i bambini (futuri adulti) ad una relazione alterata con il cibo che finirà per avere tutt’altra funzione rispetto a quella di nutrimento. In definitiva il cibo rischia di diventare l’analgesico, il tranquillante di uno stato di malessere che non potrà essere espresso in altri termini.
Contesto domestico e DCA
Spesso il genitore è inconsapevole di cosa accade al proprio figlio ma finisce per rendersi complice nel determinare un comportamento alterato del bambino nei confronti del cibo. Molto di frequente in una tavolata tra amici, al ristorante o in famiglia capita di osservare genitori che rimpinzano di cibo i propri figli. Un po’ perché siamo italiani e subiamo il culto del cibo e in parte perché così il bambino si placa, si rilassa e non fa altre richieste, non esige altre attenzioni, dunque è più gestibile per i genitori. Questo comportamento purtroppo, soprattutto se reiterato, avrà inevitabilmente delle conseguenze.
Dunque alla domanda “ma i bambini come arrivano a questo?” È facile rispondere: il tutto si apprende in famiglia!
Una risposta ufficiale, che dovrebbe far riflettere, giunge da un’indagine pubblicata sulla rivista Pediatric Obesity dai ricercatori dello University College di Londra. Questo studio sostiene che “L’abitudine di mangiare per abbassare i livelli di stress si apprenderebbe fin da piccoli. Non dipenderebbe, infatti, dal patrimonio genetico di ciascun individuo – come ipotizzato da alcuni studi in passato - ma sarebbe frutto del comportamento dei genitori nei confronti dei figli. … l'ambiente domestico sarebbe dunque la principale causa del rapporto emotivo con il cibo.”
Inoltre, la tendenza a mangiare di più quando si è tristi o stressati, secondo Clare H. Llewellyn, coordinatore dello studio, “sembrerebbe indicare una relazione malsana con il cibo” e “la tendenza a mangiare di più in risposta alle emozioni negative potrebbe costituire un fattore di rischio per lo sviluppo dell'obesità”.
Un ulteriore studio dunque ci conferma che l’insorgenza dei disturbi del comportamento alimentare - come l'anoressia nervosa, la bulimia, il disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating disorder), l’obesità – è in stretta relazione con il contesto domestico e si struttura fin dai primi anni di vita. Per questo motivo è estremamente importante saper cogliere le prime avvisaglie, cercare di capire come modificare queste tendenze e aiutare i piccoli a sviluppare strategie più adattive e più sane per fronteggiare le difficoltà ed esprimere diversamente i propri dubbi, le proprie paure e le preoccupazioni.
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Quali provvedimenti
Gli interventi possibili sono tanti e molto vari, inoltre assumono valori diversi anche in base al livello di complessità del comportamento agito. I genitori potrebbero ad esempio educare il bambino ad esprimere le proprie emozioni così da insegnargli ad interrompere quel circolo vizioso tra percezione del malessere e compensazione attraverso il cibo. Questo richiede impegno e dedizione, oltre che una grande attenzione ai bisogni espressi e inespressi del proprio bambino. Per quanto possa risultare faticoso per dei genitori già oberati da altre incombenze, tutto questo è fondamentale ed imprescindibile per uno sviluppo sano di un figlio.
Nel caso in cui non ci si riesca da soli si può sempre ricorrere all’aiuto di uno psicoterapeuta che può sostenere l’intera famiglia nell’affrontare il problema e nel cercare insieme delle soluzioni più adattive per tutti ma in particolare per i più piccoli. Con questi si potrebbe intervenire sulla compulsività e sul craving con cui il bimbo approccia agli alimenti scelti, dando anche un significato concreto ed emotivo al cibo prescelto. Ci si potrebbe ad esempio interrogare sul perché e quando il bambino mette in atto una compensazione del malessere attraverso il cibo e che senso questo comportamento possa assumere nella sua vita. Nei casi che lo richiedono inoltre, insieme ad un nutrizionista specializzato in materia evolutiva, è possibile individuare una dieta giornaliera più equilibrata, intervenendo anche sul tipo di cibo assunto, sugli orari dei pasti e sulla qualità del tempo dedicato ad ognuno di essi.
Immagine tratta dal sito www.newsrimini.it
È compito e obbligo dell’adulto evitare che i più piccoli strutturino un rapporto malato con il cibo e che diventino dei futuri bulimici o dei futuri obesi. Nonostante in età evolutiva la questione peso sia più complessa a causa del continuo cambiamento fisiologico e della forte differenza tra i due sessi, esistono degli standard che possono fungere da parametri di riferimento, non tralasciando la possibilità di chiedere aiuto a diversi specialisti (pediatri, psicologi e nutrizionisti), come già espresso poco sopra, per individuare un piano di intervento su misura per ogni singolo bambino.
Nel processo di crescita ci sono alcuni momenti più critici per lo sviluppo dell'obesità, perciò bisogna prestare attenzione ad alcune specifiche situazioni: ad esempio evitare un aumento rapido di peso tra i 4-6 anni così da scongiurare il pericolo che un ragazzo arrivi all'età puberale già in sovrappeso o che registri un aumento rapido di peso in questa fase della vita.
È una questione di salute fisica e psichica, e questa è un dovere che gli adulti hanno nei confronti dei più piccoli. Nella maggior parte dei casi l’obesità in età pediatrica viene associata a diverse problematiche organiche, come la steatosi epatica, un’aumentata resistenza all’insulina con possibile evoluzione verso un diabete di tipo 2, un aumento del colesterolo e/o dei trigliceridi e dell'acido urico, un rialzo della pressione arteriosa, patologie ortopediche e tanto altro. I bambini vanno dunque tutelati anche da questi rischi.
Dunque, se e quando necessario, è fondamentale indirizzare precocemente il bambino verso uno stile di vita sano. Ciò è possibile, in questo specifico caso, aiutandolo ad esprimere le proprie emozioni, in particolare quelle che gli creano uno stato di disagio, dedicandogli più attenzione, educandolo a corrette abitudini alimentari ed evitando che resti seduto per troppo tempo davanti allo schermo della televisione o del computer. Inoltre è fondamentale invogliare i bambini all’attività fisica magari cercando di capire quale sport possa essere più adeguato in quello specifico momento evolutivo, condividendo con loro più tempo all’aria aperta, magari andando in bici, correndo nei parchi o facendo delle lunghe passeggiate.
Insomma i figli non crescono da soli, è compito dell’adulto prendersi cura della salute fisica e psichica dei più piccoli.
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