"Specchio, specchio delle mie brame,
chi è la più bella del reame?"
"O mia regina, tu sei bella, ma
Biancaneve è più bella di te"
L’invidia nella nostra società
La nostra è una società davvero complessa: si è sempre di corsa, si fa fatica a rispettare le fisiologiche tappe della vita e ad attendere che i tempi siano maturi. In questo mondo vige la legge del tutto e subito, e la possibilità di rinviare e di posticipare la soddisfazione di un bisogno è scarsamente contemplata. Inoltre si vive in funzione di un ideale immaginario davvero troppo lontano dalla realtà!
Siamo una società di “famelici”, si brama la qualsiasi: dal capo firmato del marchio di tendenza al taglio di capelli come quello della top model del momento; dal posto di lavoro più remunerativo alla villa megagalattica, dal macho super sexy all’illusione di una famiglia stile Mulino Bianco (di cui, se volete, potete leggere un nostro post a questo link). Insomma siamo degli eterni incontentabili alla continua ricerca di un di più che si fa fatica a capire cosa sia realmente.
Ed è proprio qui che si insinua quel terribile senso di insoddisfazione che regna sovrano e che sembra segnare la strada di un destino che appare estremamente infelice, caratterizzato da sole privazioni, mancanze, rinunce oltre che tanta tristezza e malcontento.
Al di là della propria persona e di ciò che si è, di cosa si è fatto, dei traguardi raggiunti, degli ostacoli superati, si è sempre tesi verso un confronto distruttivo con l’altro. Un altro che appare migliore, più capace, più fortunato, più bello, più ricco, più intelligente … insomma più tutto! Paradossalmente c’è sempre un amico più bello, un collega più capace, una famiglia più interessante, un oratore più esperto, un atleta più bravo, un conoscente più brillante e così via.
Ciò è ben evidente nel personaggio della regina di Biancaneve: non le è sufficiente essere bella, non basta, è necessario essere la più bella! Dunque, per sentirsi appagati bisogna distruggere l’ipotetico rivale, Biancaneve in questo caso. Ma questa incontentabilità, rende l’individuo (e la regina) eternamente scontento e questa insoddisfazione perenne rischia di fuorviare il corso della propria vita.
Ci sono occasioni in cui effettivamente l’altro ha qualcosa da insegnare ma il timore di doversi confrontare con i fantasmi dell’insoddisfazione porta la persona a sminuire e denigrare tali capacità.
La volpe e l’uva
In questo senso, per restare in tema di fiabe, è un po’ quello che accade nella favola della volpe e l’uva: la volpe, non riuscendo a raggiungere l’uva dice che è acerba.
Dunque si ha bisogno di svalutare ciò che non si può ottenere per nascondere i propri limiti, esattamente come fa la volpe con l’uva.
Ma questo non è altro che un autoinganno per mitigare il proprio senso di inferiorità, la propria insicurezza, la bassa autostima e la frustrazione scaturita dal confronto. Se si svaluta l’altro (e ciò che ha) lo si può portare al proprio livello e così si riesce ad alleviare la percezione della propria inadeguatezza ma questo impedisce di instaurare relazioni positive e sincere con gli altri, oltre che con se stessi.
L’invidia, intesa come un’emozione dolorosa ed inconfessabile, è considerata dalla religione cattolica uno dei vizi capitali ma contrariamente agli altri (superbia, avarizia, lussuria, gola, ira, accidia), da un punto di vista psicologico, produce solo sofferenza e mai soddisfazione e/o piacere poiché induce a comportamenti meschini, malevoli, subdoli che inquinano e avvelenano le relazioni.
Una lettura psicologica su come nasce l’invidia
Psicologicamente parlando l’invidia è frutto di una “ferita narcisistica” che ci ha colpiti non tanto nel nostro “Io” ma nell’ ”ideale dell’Io” ovvero non in quello che siamo realmente ma in quello che vorremmo essere. Insomma l’obiettivo dell’invidia è dunque inavvicinabile, sfugge in continuazione.
Fondamentalmente si invidia l’essere e non l’avere, infatti molto spesso l’invidia non è rivolta alle “cose” (anche non materiali) che l’altro possiede, ma al “potere” dell’altro di averle. Insomma un po’ come se l’altro avesse una infinità di frecce al proprio arco e l’invidioso nemmeno una.
Nel suo libro “Invidia e gratitudine” Melanie Klein afferma che “…la persona veramente invidiosa è insaziabile, non potrà mai essere soddisfatta, poiché la sua invidia scaturisce da dentro e pertanto trova sempre un oggetto su cui focalizzarsi”.
L’invidia è un sentimento molto antico che nasce con l’individuo. Si instaura fin dalla nascita (alcuni autori affermano che possa instaurarsi già nella vita intrauterina) ed è un sentimento che durante l’età evolutiva va elaborato ogni volta che si presenta affinché non diventi distruttivo per sé e per gli altri.
Già Sigmund Freud parlava del complesso di evirazione: la bambina, quando viene a conoscenza del sesso maschile, si accorge che il bimbo è provvisto di qualcosa che lei non ha (il pene) e per il solo fatto di non possederlo lo desidera (il sentimento di invidia del pene). Questo accade perché l'assenza del pene viene percepita come una mancanza, il marchio di un'evirazione piuttosto che il segno di una differenza, di un'alterità connessa al possesso di un organo diverso, la vagina. Secondo la teoria kleiniana, l’invidia invece è molto più primitiva proprio perché sperimentata fin dalla nascita già nella relazione madre-figlio; la Klein inoltre la ritiene fondamentale per il successivo sviluppo emotivo-affettivo del bambino. Ella infatti sostiene che nella prima infanzia, se l’invidia non è eccessiva ed è adeguatamente supportata ed elaborata può essere superata e ben integrata nell’Io attraverso sentimenti di gratitudine. In sintesi, se le esperienze buone, relative soprattutto all’affettività e all’emotività, prevalgono su quelle cattive, il senso d’invidia man mano diminuisce per cedere il posto al senso di soddisfazione e gratitudine. Si creano, quindi, nel bambino quegli ‘anticorpi psichici’ necessari per fronteggiare lo spiacevole senso di invidia che può facilmente insinuarsi in ognuno di noi. Questo è un compito che spetta nei primi anni ai caregiver (genitori e chi per loro) e successivamente anche a coloro che sono preposti alla formazione/educazione civile/sociale (docenti scolastici) di bambini e adolescenti.
Un'immagine della psicoanalista austriaco-britannica Melanie Klein
L’invidia è un sentimento complesso che non va negato né censurato, va invece riconosciuto prima di tutto dentro noi stessi così che poi lo si possa analizzare ed elaborare per poi cercare un’adeguata possibilità per superarlo. Negarlo e non riconoscerlo quasi sempre provoca nell’individuo sentimenti astiosi e un senso di ansia generalizzato che lo pone in una continua e spiacevole situazione stressante che può provocare anche notevoli somatizzazioni (cioè trasformazioni del disagio psicologico in disagio fisico, come accade nei casi di attacchi di panico, cefalee, coliti, gastriti dermatiti etc.). Questo stato ansioso è causato proprio dal perseverante confronto con l’altro che mette continuamente in risalto lo scarso senso di autostima dell’invidioso. L’individuo, sentendosi invaso da questo schiacciante e persecutorio sentimento, sente un impellente bisogno/desiderio di attuare comportamenti distruttivi verso l’altro che, comunque, in nessun caso generano gratificazioni. In sostanza, l’invidioso è la vera vittima di se stesso: è una persona insicura che ha un grave problema di autostima e che cerca di svalutare gli altri per potersi sentire un po’ meglio (naturalmente, questo benessere è solo apparente).
L’invidia sana e l’invidia distruttiva
Nell’immaginario popolare l’invidia viene sempre considerata in un'accezione negativa ma in realtà a fianco all’invidia cattiva (di cui si è già in parte fatto riferimento poco sopra) vi è un’invidia assolutamente sana e costruttiva (prima ho parlato solo di invidia patologica, qui chiarisco la distinzione tra le due). Quando il senso critico viene utilizzato non per distruggere l’altro, ma per vederne le qualità che intimamente si desiderano, l’invidia si trasforma in una sana ammirazione e diventa un forte stimolo a realizzare nuovi obiettivi e a migliorarsi.
Nell’invidia buona, quindi costruttiva, vi è l’esistenza di alcuni meccanismi positivi che portano l’individuo a confrontarsi con un'altra persona o ciò che rappresenta (es.: risultati scolastici - lavorativi - sportivi) al fine di cambiare in meglio, di ottenere risultati soddisfacenti per se stesso. In tal senso può esserci un’identificazione positiva con l’altro e i sentimenti in questo caso si possono tramutare in stima, ammirazione, fascino per la persona che è risultata stimolante. Il pensiero di fondo è “Se lei può, posso farcela anch’io!”.
Mentre nell’invidia cattiva, cioè distruttiva, si verificano meccanismi che tendono sempre a svalutare l’altro (relativamente alla stima/importanza/affetti, agli oggetti posseduti, agli eventi della vita) o addirittura a volere distruggere la sua felicità o sperare che succeda. Così l’invidia diventa un’emozione che genera solo dolore sia per chi la prova sia per coloro che la subiscono. A formare questo sentimento di invidia contribuiscono anche altri stati emozionali spiacevoli come il senso di ostilità, la rabbia, il rancore, il risentimento fino ad arrivare all’odio. In questo caso invece il mood è “Se io non posso, allora neanche l’altro deve essere soddisfatto/felice”.
Come diceva Theodore Roosevelt “l’invidia è la ladra della gioia” .
Il locus of control dell’invidioso
L’invidioso inoltre tende di norma ad attribuire la responsabilità della propria situazione agli altri, agli eventi, al fato e alla sfortuna (in gergo diremmo che ha un locus of control esterno), privandosi di fatto della capacità di essere protagonista della propria vita e della facoltà di reagire. Per superare l’invidia bisogna dunque assumersi appieno la responsabilità delle proprie azioni e i risultati che si ottengono, sia buoni che cattivi (locus of control interno). Solo in questo modo ci si può riappropriare nuovamente della propria vita focalizzandosi su ciò che si intende ottenere e sul come farlo.
“L’invidioso piange più del bene altrui che del proprio male” (Francisco de Quevedo).
Invidia, Cappella degli Scrovegni, Padova.
In questo particolare della Cappella: l'invidia fa bruciare l'invidiosa che denigra l'invidiato ma viene colpita dalla sua stessa malvagità.
Il serpente della calunnia si rivolta contro di lei colpendole gli occhi.